Mi chiamo
Sabrina, ma tutti mi conoscono come Lasabrina. Questo perché all’asilo, quando
mia nonna veniva a prendermi entrava gridando “Dov’è la
Sabrina?” suscitando l’ilarità delle maestre. A questo si aggiunge il fatto che
a tre anni pesavo già 25 chili e senza dubbio dire Lasabrina rende meglio
l’idea di una bambina-bue rispetto a Sabrina, bambina-fuscello. Da qui sono
sempre stata Lasabrina, ormai se mi chiamano col mio vero nome non mi riconosco
nemmeno.
Le altre
bambine a scuola indossavano vestitini di cotone a fiori, calze ricamate e
avevano i capelli raccolti in codini. Io portavo enormi salopette di jeans,
scarponi e una moscia coda di cavallo in testa.
Le altre
bambine il pomeriggio guardavano i cartoni animati di Sailor Moon e La
sirenetta, io, grazie a tre fratelli maggiori, un padre e una madre poco
presente ero cresciuta a forza di Chuck Norris, Bruce Willis e Bud Spencer. Il
film più romantico che ho mai visto fino all’età di quindici anni è stato Rocky con Sylvester Stallone, un altro dei miei idoli di gioventù.
Non posso
dire di aver avuto un’infanzia infelice. Ero contenta di giocare con i
trattori, Walker Texas Ranger mi prendeva tantissimo e con i miei fratelli
avevo un ottimo rapporto. Fu l’adolescenza il periodo traumatico, quando mi
resi davvero conto di essere diversa dai miei fratelli e di provare un certo interesse verso romanzi rosa e vestiti
più femminili. Ma insieme a questa mia nuova propensione alla femminilità
cresceva anche la mia massa corporea. I miei fratelli si ingozzavano come maiali ed erano “belli forti e robusti”,
come diceva mio papà, io invece, una ragazza, ero “cicciona, molle e cellulitica”, come diceva quella simpatica di mia mamma.
Così il mio
lato femminile che ancora non aveva spiccato il volo si trovò ben presto a
cozzare con il mio peso importante. Inutile dire che i ragazzi mi rifiutavano e
le ragazze mi umiliavano. Senza contare che quando i miei fratelli si resero
conto che stavo cambiando iniziarono ad escludermi.
Divenni così
un’emarginata. Troppo grossa per piacere e troppo mascolina per suscitare la
simpatia delle mie coetanee.
Adesso ho
trent’anni, sono alta un metro e settanta e peso novanta chili, lavoro come
cassiera in un supermercato e vivo ancora con i miei genitori e due dei miei
fratelli. Non ho un fidanzato e anche se sono adulta mi vergogno ancora a
leggere i libri d’amore davanti alla mia famiglia. Non ho mai visto un vero
film romantico, non porto le gonne e nemmeno i capelli sciolti. Non è cambiato
molto dalla mia infanzia. Non sono triste, ma sono sola. Questo mi rende triste.
Vorrei avere degli amici, un ragazzo e una casa tutta mia.
È lunedì.
Oggi ho il turno di mattina. Vado al lavoro, indosso l'uniforme creata
apposta per me, non ne esisteva una abbastanza grande e passo le seguenti tre
ore a far scorrere prodotti sul nastro.
Torno a casa
per l’ora di pranzo. Mia mamma ha fatto le cotolette con le patate. Mangio
cinque cotolette sentendomi il suo sguardo addosso. “Forse dovresti andare in
palestra Lasabrina.” Mi dice.
Mio fratello
rutta di fianco a me. Ha due anni in più di me, è alto come me e pesa venti
chili in più di me. “E lui non dovrebbe andarci?”
Mamma si
scandalizza. “Lui fa un lavoro pesante. Ha bisogno di mantenersi.” Il lavoro
pesante sarebbe fare il commesso in un negozio di lampadari dove ogni volta che
un cliente acquista gli capita di sollevarne uno, il che accade più o meno una
volta ogni tre mesi.
Mio padre mi
sorride, “le donne in carne sono le più belle.”
Mamma
sbuffa, si alza in piedi e inizia a sistemare i piatti. Vi basti sapere che io
pesavo come mia mamma a otto anni.
Trascorro il
pomeriggio chiusa in camera. Navigo su internet, sono tentata per la millesima
volta di iscrivermi su un sito di incontri, ma come sempre rinuncio. Fino a
quando, quasi per caso, leggo una notizia molto interessante.
Ti senti emarginato? Ti senti invisibile?
Credi che la società ti rifiuti perché sei diverso dagli altri? Vorresti
sfuggire da questa situazione ma non sai come? Noi siamo la soluzione! Giovedì
30 ottobre, ore 18, viale Salici piangenti 3, appartamento 7. Ti aspettiamo,
per noi sei speciale.
Sento il
cuore battere forte. Sarà una fregatura? È senz’altro una fregatura. A chi può
interessare un gruppo di sfigati, o come li chiamano loro, di EMARGINATI. Il
tono dell’annuncio è pessimo, persino Mastrota nelle sue televendite di
materassi è più convincente. Ma in fondo, cosa ho da perdere? Basta armarsi di
uno spray al peperoncino e avere la batteria del telefono carica, anche se non
penso di essere esattamente la persona più stuprabile di questo mondo. Ma la
madre dei maniaci è sempre incinta. O era quella degli stupidi? Fa lo stesso.
Giovedì 30 ottobre sarò lì e se anche dovesse essere una scemata pazienza,
almeno avrò trascorso un pomeriggio fuori casa.
Il numero 3
di viale Salici piangenti è un comune condominio, come ce ne sono migliaia in
ogni città. La porta d’ingresso è aperta, l’appartamento 7 è al quarto piano.
L’ascensore è rotto, ovviamente. Qualcosa mi dice che arriverò fradicia di
sudore, uno spettacolo.
Quando busso
alla porta sono in ritardo di dieci minuti. I minuti che mi ci sono voluti per
fare le scale. Spero che non sia una scemata altrimenti mi faccio pagare da
loro la lavanderia per i vestiti.
Un volto fa
capolino dall’ingresso. È il faccino tondo di una bambina dall'aria simpatica, le
trecce bionde e un vestitino rosa. La classica bambina perfettina che odiavo
quando avevo la sua età. Sono in dubbio se tornare indietro, entrare e
strozzarla perché è così bella o…
“Marti,
spostati.” Una voce d’uomo e un uomo fa la sua comparsa. È giovane, deve avere
poco più della mia età, indossa una maglietta gialla a righe azzurre e dei
pantaloni della tuta rossi. Credevo di essere io quella che si veste male, ma a
quanto pare devo ricredermi.
“Sei qui per
l’annuncio?” mi chiede spingendo dietro di se la bambina.
Annuisco e
lui si sposta facendomi entrare in un salotto minuscolo ingombrato dalla
presenza di cinque persone sedute a cerchio. Sembra di essere in un centro di
riabilitazione per alcolizzati.
L’uomo mi
prende per un braccio e mi scorta alla mia sedia. Mi guardo intorno. Pur non
conoscendo nessuno e pur non essendoci nessun motivo evidente a rendere gli
altri degli emarginati qualcosa di inspiegabile ci rende il peggior gruppo di
disadattati della storia. Staremo a vedere.
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