giovedì 2 gennaio 2014

I fantasmi della notte (pt.1)

Racconto in due puntate


È notte fonda. L’uomo è arrivato, come ogni notte da settimane ormai. Lui non sa che io lo vedo dalla mia finestra. Il vicolo è buio, i lampioni non sono altro che lucciole appese a mezz’aria. Lo vedo cercare negli angoli più scuri, raccogliere oggetti e infilarli nel suo borsone. È un uomo grande ma dall’aspetto sfuggevole, con un lungo pastrano sciupato dal tempo, che probabilmente ha visto tante panchine alle stazioni dei treni. Riesco a delineare appena il viso scavato dagli anni, non so stabilire con precisione l’età (forse perché non ne ha una?). Calza dei pesanti scarponi sporchi.

È settimane che lo osservo. Mi faccio forza. Mi rivesto e mi infilo la giacca. Scendo.

Non c’è più, se n’è già andato.


È tornato. Lo aspettavo: ora non voglio perdere questa possibilità. Scendo di nuovo.
È voltato, sta rovistando nella spazzatura.
«Chi sei?» gli chiedo.

Lui si volta, mi guarda, ma non guarda me, guarda qualcos’altro, per interminabili secondi.

«Io non sono nessuno» risponde.
«Chi sei?» gli chiedo di nuovo meccanicamente. Il tempo si è fermato.
«Io non sono nessuno» risponde di nuovo.

L’uomo si volta, raccoglie qualcosa dal bidone della spazzatura. Mi spedisce un ultimo sguardo, rimarcando la sua risposta. Non era nessuno 
(o non voleva essere nessuno?)
Come un soffio, sparisce nel buio del vicolo.

Poco dopo, ritorno a casa, mi metto a letto e vengo preso da un sonno pesante e senza sogni.


Lui torna ogni sera. Ma per qualche motivo ho timore, non voglio scendere. Vedo che si comporta come se nulla fosse successo. Continua a rovistare di qua e di là, disinteressato del nostro incontro e dell’inverno che sopraggiunge e nasconde gli ultimi strascichi d’autunno. Accendo il camino e torno alla finestra per osservarlo, ma l’uomo è già sparito, vorrei proprio sapere dove vive. Sovrappensiero, mi accomodo in poltrona e leggo un libro, Le notti bianche di Dostoevsky.


Sto iniziando a inquietarmi. Devo parlare con quell’uomo, quantomeno per chiedergli se ha bisogno di aiuto, di vestiti o cibo. Mi vesto pesante e scendo. Il sole è tramontato da un po’ e il vicolo ha un aspetto tetro e buio. La neve bianca aveva velato i tetti e le strade, qualche luce era accesa, e un’atmosfera spettrale è scesa su di noi.
«Chi sei?» gli chiedo.
Lui si volta, mi guarda di nuovo, senza però vedermi, come se guardasse qualcos’altro.
Il tempo si è fermato ancora. Sembra che perfino la neve, che poco prima scendeva leggera e con eleganza, si sia fermata ad attendere la sua risposta.

«Io non sono nessuno» risponde.

Io rimango immobile, sono speranzoso che lui mi parli, ed effettivamente è quello che voglio. Ma in un attimo se n’è già andato. E mi ritrovo solo in mezzo alla strada, mentre la neve scende copiosa, e le poche luci accese lanciano ombre inquietanti

 (e mi chiedo se anche lui non fosse solo una folata di neve portata dal vento).

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