giovedì 30 gennaio 2014

Il club degli emarginati (3)

“Vi chiederete come mai ho deciso di mettere quell’annuncio." Esordisce Ludovico. "La risposta è molto semplice. Sono stufo.” Si alza in piedi infervorato. “Sono stufo di essere considerato un incapace perché non ho un lavoro e una casa, stufo di essere considerato un fallito, compatito dai miei amici e rifiutato dai datori di lavoro. Stufo di essere emarginato.” Ci guarda attentamente negli occhi. “E se voi siete qui significa che anche voi non ne potete più.”
La porta di ingresso si apre. Entra una coppia anziana. Lui con un paio di baffi bianchi e l’aspetto burbero, lei piccolina e dall’aria mite e affettuosa. Appena ci vedono lei sorride imbarazzata. “Oh, scusate, continuate pure.” Si avvicina a Ludovico e gli stampa un bacio in fronte. Lui imbarazzatissimo la allontana con la mano. “Mamma, ti prego.”
“Si si vado via. Avete già fatto merenda?”
“Non facciamo merenda mamma. Ti prego vai di là.”
E l’anziana signora sorridendoci si ritira in cucina. Per tutto il tempo l’uomo è rimasto a scrutarci dalla soglia con aria critica. Fissa lo sguardo su ognuno di noi poi scuote la testa.
“Papà per favore, stavo parlando.” Dice Ludovico con tono supplice.
Suo padre scuote di nuovo la testa, borbotta qualcosa e va in cucina anche lui.
“E cosa proponi di fare?” chiede Carolina. “Appunto perché siamo emarginati dubito che verremo ascoltati.”
“Non tutti siamo emarginati. C’è chi l’ha scelto.” Interviene Isaia fissando Clodoveo che si inalbera subito. “Sono un emarginato tanto quanto voi! E tu allora? Sei un bel ragazzo, non vedo che problemi dovresti avere anche se sei ebreo.”
“Sì, in effetti sono piuttosto bello”, commenta Isaia ammiccando verso Carolina. Ma quando la vede storcere il naso alzando gli occhi al cielo già si infuria. “senz’altro sono più emarginato di te Sister act dei poveri!”
“Come mi hai chiamato scusa?”
“Forse non dovremmo stare qui a discutere su chi è più emarginato, ma collaborare.” Sono stata io a parlare? Tutti si girano verso di me. Pare che sia davvero stata io.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere Lasilvia.”
Non provo nemmeno a correggerlo.
“No, Lasabrina ha ragione. Non vi ho chiesto di venire qui per litigare tra di noi. Ma Carolina ha ragione. Nessuno ci ascolterebbe. Per questo dobbiamo obbligarli a sentirci. Ho un piano.”
“Uccidere un ministro?” Chiede Annina.
“Emm…no, qualcosa che non comporti la morte di nessuno. Abbiamo bisogno di visibilità, non del carcere a vita.” Osserva Ludovico.
“Sapete, Woody Allen è di famiglia ebrea.”
L’intervento di Woody ci lascia spiazzati.
“Sì, infatti Woody Allen è mio padre.” Commenta Isaia.
“Davvero?”
“No!”
“Peccato.”
E Woody risprofonda nel silenzio. Ma da quale manicomio è saltato fuori questo qui?
“Ecco il mio piano.” Riprende Ludovico. “Qual è l’esatto opposto degli emarginati? Se siamo esclusi è perché non rispondiamo a un modello, il prototipo della persona perfetta. E chi è perfetto?”
Silenzio.
“Le reginette di bellezza.”
Tutti scoppiamo a ridere fino a quando non notiamo la faccia seria e contrariata di Ludovico e capiamo che non sta scherzando.
“Perché dovremmo prendercela con le reginette? Sono tutte delle oche e questo è risaputo.” Dice Carolina.
“Pensateci bene. Pensate a miss Italia. È bellissima, ha sempre un uomo innamorato di lei, dopo aver vinto il concorso trova sempre un lavoro nel mondo dello spettacolo dove viene anche ben retribuita, ha il supporto di una famiglia. È perfetta.”
“Se consideri superfluo un cervello allora sì, è perfetta.” Insiste Carolina.
Ludovico sbuffa. “Lascia stare il cervello. Dobbiamo abbattere un ideale, non la persona in sé. L’ideale della ragazza bella e che ha successo. Mostrare che dietro a quel mondo perfetto ci siamo anche noi, senza lavoro, grassi, omosessuali. L’opposto di quel modello.”
“Chi vuole dei biscotti?” La mamma di Ludovico entra in salotto reggendo un vassoio e interrompendo il discorso infervorato del figlio.
“Mamma, stiamo parlando di cose importanti!”
“Oh Chicco, magari i tuoi amichetti vogliono mangiare qualcosa.”
Isaia scoppia a ridere e noi tutti cerchiamo di trattenere un sorriso. La signora posa i biscotti e ritorna in cucina. Ne assaggio uno. A dire il vero ne ho in mano una manciata.
Gli altri mi fissano sgranando gli occhi.
“Forse dovresti andarci piano Lasamantha.” Mi dice Isaia.
Arrossisco e ne metto giù un paio. Sono molto buoni.
“Cosa ne dite del mio piano?” chiede Ludovico.
“Quindi dovremmo uccidere miss Italia?” è sempre Annina che interviene.
“No Annina, non ammazziamo nessuno. Solo sabotare un concorso di bellezza. Ce ne sarà uno fra un mese in un paese qui vicino, un mio amico giornalista può procurarci gli inviti. Dobbiamo solo decidere come sabotare la serata in modo da renderci visibili.”
“Ma chi ci noterà in un paesino sperduto qualunque?” vuole sapere Clodoveo.
“In pochi, ma compariremo sui giornali e sarà un primo passo verso qualcosa di più grande.”
Ci scrutiamo meditabondi. Mi sembra una gran scemata. Inutile.
“Cosa abbiamo da perdere?” insiste Ludovico.
Carolina guarda l’ora. “Io adesso devo andare.”
“Appuntamento romantico con un paio di amichette?” chiede Isaia ammiccando.
“Ho detto che sono lesbica, non che partecipo a delle orge.” Risponde seccata Carolina.
Rimaniamo d’accordo di rivederci qui, fra una settimana, alla stessa ora. Abbiamo tutti bisogno di tempo per pensare.
Ludovico chiude la porta deluso.
Clodoveo si dilegua senza salutare.
Isaia sale in moto dopo averci fatto l’occhiolino tallonato da Annina in bicicletta.
Woody svolta nella via accanto per poi tornare indietro e sceglierne un’altra. Questo per una decina di volte fino a quando trova finalmente la strada giusta.
Carolina mi sorride. “Ci vediamo la settimana prossima Lasabrina. Mi ha fatto piacere conoscerti.”

Forse non è stata poi una così cattiva idea venire in via dei Salici piangenti numero 3.

mercoledì 29 gennaio 2014

Apocalisse

Apocalisse - Sempre giorno 1, ma un po' più tardi.

Eravamo rimasti a: "...sentì una voce al piano di sopra." Sarà forse il commercialista di qualche compagnia telefonica che viene a proporre nuovi effervescenti contratti?

–Oddio! Che è successo qui dentro? Poliziano, sei in casa? Sono la Gelsomina!- Gelsomina Pestabuchi, moglie del Girolamo, era tale quale al consorte: rompicoglioni. Notò subito la strisciata di sangue lasciata dal corpo del marito che portava alla cantina, ma immaginò si trattasse di pittura e si mise a commentare acidamente il disordine del Poliziano e di come un uomo della sua età dovesse cercarsi una moglie per “darsi una sistemata”. –Gliela do io la sistemata- pensò ad alta voce Poliziano forzando il corpo del Girolamo a entrare nella cella, poiché il rompicoglioni rompeva anche da morto. Era crepato a braccia e gambe aperte e diventato ormai come un albero rinsecchito non si schiodava da quella posizione, rendendo complesso l’occultamento del cadavere.
Dopo una serie di botte, finalmente la cella si chiuse e Poliziano salì a dare il benservito anche alla megera. –Che cazzo vuoi?- esordì imbufalito il trentasettenne.
- Poliziano, dobbiamo scappare! Non è passato di qui il mio Girolamo? Gli avevo detto di passare ad avvertirti, ma avran preso anche lui…ci sono i morti! I morti tornano in vita e vengono a braccarci, casa per casa!-.
Il nostro eroe restò di sasso. I morti tornano in vita. Tutta la fatica fatta per far sparire quel rompicoglioni d’un vicino ed ora rischiava di ritrovarselo tra i piedi!
Bussarono alla porta. I due si voltarono a guardare in direzione dell’entrata. Le befane bussavano alla porta, ma la porta in questione era a terra, disintegrata dal nostro impavido protagonista! Immaginatevi la scena: tre tizie, camuffate da befane, erano raccolte su di una porta stesa al suolo e bussavano ripetutamente; data l’ignoranza, dovevano trattarsi sicuramente di non-morti! Girolamo puntò la pistola alle tre rincoglionite fino-a-prova-contraria-zombie, ma quando fu il momento di sparare, Gelsomina disse loro: - Entrate pure, è aperto! – Poliziano capì. Era circondato!
Lentamente si allontanò dalla donna. Un ghigno gli contorceva l’espressione da trentasettenne single. Da un lato la paura. Dall’altro la soddisfazione. Era crepata anche lei! Strinse forte l’impugnatura della Beretta ed aprì il fuoco. Il sangue zampillò ad ogni colpo fino a quando le quattro decerebrate furono spappolate a terra, più bucate d’un Emmental. Anche da non-morte, in quello stato, non sarebbero riuscite a rialzarsi!
Sentì un trillo, era la sveglia, l’una! L’ora in cui sarebbe dovuto tornare al lavoro. Sentì come un tanfo osceno riempirgli i polmoni, fu come sfuggire ad un’annegamento. Si svegliò!
Aveva dormito per mezz’ora sul cesso e tutto era stato un brutto sogno. Del resto doveva aspettarselo: ubriaco da far schifo la domenica per poi tornare al lavoro il lunedì con poche ore di sonno a coprirgli le spalle. Si sistemò, aveva 10 minuti di tempo per tornare al lavoro, prese le chiavi in fretta e furia, chiuse, salì in macchina, girò l’isolato e fu nuovamente ai forni della fabbrica, un pezzo, poi un altro e un altro ancora. Quattro ore dopo suonò la campana della fine del turno. Quattro come le quattro mentecatte ammazzate nel sonno, doveva essere un segno.
Arrivò a casa dove lo aspettava una cena da quattro saldi in padella e la buttò giù guardandosi i grandi classici di rete 4. Doveva essere un segno.
A tarda ora, il sonno fece presto capolino spingendo in basso le sue palpebre che andavano chiudendosi di fronte a un Henry Fonda in tenuta da cowboy.
Erano le 4 del mattino, e state certi che si trattava di un segno, quando bussarono alla porta. Aprì gli occhi passandosi le mani sul capo. Provava un certo piacere, appena sveglio, a passarsi una mano tra i capelli. Era un modo come un altro per riprendere contatto con se stesso. Guardò l’orologio. – Chi diamine è a quest’ora? – preoccupato si diresse all’entrata. Doveva essere successo qualcosa. Aprì. La polizia.
- Signor Salutate- l’agente a fianco dell’ispettore salutò Poliziano. Poliziano e l’ispettore si scambiarono un’occhiata perplessa guardando in direzione l’agente che solo a questo punto capì che si trattava del cognome. Non era un buon inizio.
- Possiamo entrare? Dovremmo farle alcune domande su una questione accaduta durante la notte nel suo quartiere.- Poliziano strizzò gli occhi e con una smorfia di assenso fece largo ai due uomini.
– Dev’essere ancora per quei cinesi che cucinano cani al fast food qui dietro.- pensò.
– Ci dispiace arrecarle disturbo, ma rechiamo brutte notizie. Lei conosceva il signor Pestabuchi? -
Come poteva non conoscere quel rompicoglioni che a tutte le ore del giorno veniva a stressarlo?!
- Sì…di vista…abita qui a fianco, ma…non abbiamo mai avuto rapporti stretti…solo saluti confidenziali sa…da buon vicinato.- il nostro eroe aveva l’olfatto fino per i guai.
- Quindi non la toccherà più di tanto sapere che il suo corpo e quello della moglie sono stati ritrovati fatti a pezzi nella cantina della loro casa? – lo toccava; eccome se lo toccava. La parte bella di quell’incubo si era avverata!

lunedì 27 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street. Autorevoli Opinioni [No Spoiler]

Autorevolissima critica.

Nessuno si sarebbe mai cagato un film del genere. Almeno, non quelli con un po’ di sale in zucca. Tre ore piene che scorrono piacevoli solo grazie ad alcuni dialoghi e battutine ad effetto («non voglio morire sobrio!») e alle tette ed ai culi che appaiono ogni poco ad allietare la noia e riempire l’inconsistenza. Nonostante tutto però la trama del film è ben ideata e potenzialmente avrebbe tanto da dire, ma i fili che la compongono sono troppo esili per darci seriamente credito. E il fatto che sia tratto di una storia vera non vuol dire nulla sulla qualità della narrazione filmica (si dice così no?).

A parte chi lo fa di mestiere, nessuno (me per primo) sa una sega di finanza e di borsa, ma almeno Scorsese potrebbe tentare di darci la sensazione di “essere dentro” quel mondo. E invece no. Troppo facile. Meglio andare sul sicuro banalizzando (ehm, trascurando) il lato tecnico riducendolo a “gente che telefona” e investendo sul lato porno soft/droghe/party extralussuosi su yacht e in ville con piscina (e sulla bravura dello sprecato Di Caprio) che sicuramente aumenta gli incassi e chissà se fa vincere l’Oscar.

 Possibile che fai un film su Wall Street senza farmi vedere non dico un numero o un grafico, ma una cazzo calcolatrice? Fai finta almeno di farmi capire qualcosa di quel che succede e non mostrarmi solamente uno in giacca e cravatta che un giorno sì e l’altro pure prende il microfono e arringa i suoi dipendenti come fosse Cicerone nel Senato di Roma, dopo essersi strafatto di cocaina (anche Cicerone era un tossico, mi dicono dalla regia).

Vuoi fare un affresco dell’avidità dell’uomo? Benissimo. Vuoi usare il magico mondo della borsa come luogo privilegiato di narrazione? Ancora meglio. Vuoi anche metterci un po’ di sana mancanza di morale e rispetto degli altri? Perfetto, caro Scorsese.
Dato che viene da molti descritto come “un film senza morale, quindi magnifico” (come se la cosa sia matematica), dovresti (si mi rivolgo proprio a te, Martin, adesso siediti e ascoltami) però cercare di rendere più consistente quello che vuoi trasmettere, soprattutto se in verità “non c’è proprio nulla da trasmettere” se non la fredda descrizione dell’ascesa e il declino di un cazzo di broker.

Io di film non capisco un cazzo, ma una cosa l’ho capita: che i film che valgono qualcosa non sono quelli come The Wolf of Wall Street e che il silenzio del pubblico in sala come a dire «embè?!»  alla fine della proiezione vale più di una nomination all’Oscar.


Ora posso andare a fare in culo.

domenica 26 gennaio 2014

Il filmone della domenica pomeriggio - giorno della memoria

Train de vie - Un treno per vivere
diretto da Radu Mihăileanu




> Non mi picchiate, sono il pazzo! Dio esiste, Dio non esiste, che importanza ha? Fermatevi!
Vi siete mai chiesti se l'uomo esiste?

> Schlomo, non immischiarti!
> Fatelo parlare! Su, parla, Schlomo.

> Dio creò l'uomo a sua immagine. È bello. Schlomo a immagine di Dio. Ma chi l'ha scritta questa frase nella Torá? L'uomo. Non Dio. L'uomo. L'ha scritta senza modestia paragonandosi a Dio. Dio forse ha creato l'uomo, ma l'uomo... l'uomo, il figlio di Dio, ha creato Dio solo per inventare se stesso.

> Vuoi ripetere?

> L'uomo ha scritto la Bibbia per paura di essere dimenticato, infischiandosene di Dio.

> Schlomo, abbiamo già abbastanza guai così...

> Rabbino, noi non amiamo e non preghiamo Dio. Ma lo supplichiamo. Lo supplichiamo perché ci aiuti a tirare avanti. Cosa ci importa di Dio per come è? Ci preoccupiamo solo di noi stessi. Allora la questione non è solo sapere se Dio esiste, ma se noi esistiamo.

> Bravo! Ecco una bella preghiera. Grazie, Shalom!
Agit Shabes.

...

> Ci hai capito niente tu?

> Sì tutto: Dio non sa se l'uomo esiste.

> L'uomo non esiste... E io chi sono? Una scimmia?



BUONA VISIONE!

Streaming ITA

Streaming FRA



Per i "ma no l'ho già visto" guarda il filmone della scorsa settimana

venerdì 24 gennaio 2014

Il club degli emarginati (2)

L’uomo si posiziona davanti ad una sedia, di fronte a me, respira profondo, si vede che è emozionato.
“Buonasera a tutti. Mi chiamo Ludovico e sono io che ho messo l’annuncio. Prima di dare qualsiasi spiegazione vorrei che ognuno si presentasse e dicesse il motivo che lo rende emarginato. Comincerò io. Ho trentasei anni, sono divorziato, ho una figlia, vivo con i miei genitori in questa casa e sono disoccupato.” Un altro respiro profondo. “Per la società sono un fallito.”
Siamo tutti ammutoliti, io sto ancora cercando di convincermi di non essere completamente rincretinita per aver deciso di venire in questo covo di matti. Anche se non devono essere più matti di quanto non lo sia io.
La donna accanto a me prende la parola, è una ragazza di colore molto bella.
“Ciao a tutti. Mi chiamo Carolina e sono lesbica.”
“E allora? I gay sono di moda adesso!” ribatte un ragazzo seduto vicino a Ludovico.
“Sì ma io sono lesbica e anche nera.” S’infervora Carolina.
Il ragazzo alza le spalle, “effettivamente i neri andavano di moda qualche anno fa.”
Silenzio.
Dio e questo da dove è uscito? Ma soprattutto...In che cosa mi sono cacciata?
“E tu perché sei emarginato?” chiede Carolina al ragazzo.
Di nuovo alza le spalle. Deve avere poco più di vent’anni, è rasato e ha un bel fisico, non vedo quale persona sana di mente dovrebbe emarginarlo. “Sono ebreo.”
“Beh non ci vedo niente di male, io sono buddista e non mi sento emarginato. A nessuno importa se sei ebreo.” Interviene un uomo di fianco a me.
Il ragazzo sbotta, “forse dovresti sapere che gli ebrei sono i grandi emarginati della storia. Mai sentito parlare di ghetti? Leggi razziali?”
“Per forza avete ucciso Cristo.” Ribatte una signora anziana che sferruzza con i ferri da lana di fronte a me.
“Ho ucciso Cristo tanto quanto tu hai ucciso Giulio Cesare!” S’infuria il ragazzo.
Ludovico interviene. “Cerchiamo di stare calmi e continuiamo la presentazione. Non ci hai detto come ti chiami.” Dice rivolto al ragazzo.
“Isaia.” Sputa fuori dalle labbra.
La vecchietta sogghigna.
“Senti vecchia di m…”
“Lei signora come si chiama?” Interviene Ludovico.
“Mi chiamo Annina e non avrò ucciso Giulio Cesare ma qualcuno ho ucciso.”
Sobbalziamo tutti.
La ragazza di fianco a me schizza verso la porta.
Isaia si alza in piedi di getto.
E la bambina di Ludovico entra nella stanza. “Vi porto la merenda papà?”
“No tesoro, torna in camera e restaci fino a quando non vengo a chiamarti.” Risponde teso Ludovico.
La vecchietta continua a sferruzzare sorridendo.
“Quindi Annina, lei ha ucciso qualcuno. Un incidente immagino.” Riprende Ludovico.
“Se consideri un incidente buttare tuo marito giù dalle scale allora immagino che sia stato un incidente.”
Riprendo a sudare copiosamente. Questi sono tutti fuori di testa!
“Sono stata in carcere quindici anni e da un paio sono uscita, ma nessuno vuole più stare con me.” Conclude Annina.
“Chissà perché. Assassina!” urla Isaia.
Ma Annina non risponde e va avanti a lavorare a maglia.
Ludovico inspira profondamente. “Molto bene, andiamo avanti.” E fa cenno a un ragazzo di fianco a lui che per tutto il tempo è rimasto a fissare il soffitto con aria assente. Ha dei capelli ricci rossi sparati in aria e degli occhiali dalla montatura quadrata. Abbassa gli occhi su di noi e sorride. “Io assomiglio a Woody Allen.”
“Veramente non ci assomigli per niente.” Dice Carolina.
“Ecco. Nessuno mi prende mai sul serio!” strepita il giovane.
Ludovico si schiarisce la gola. “E come ti chiami?”
Lui lo guarda sgranando gli occhi sorpreso. “Woody.”
Ludovico inspira profondamente. Per l’ennesima volta. Si passa la mano tra i capelli. “Va bene. Credo che abbiamo quasi finito.”
L’uomo di fianco a me prende la parola. “Io sono Clodoveo, ho quarant’anni e non mi piacciono le persone.”
“Stai tranquillo che la cosa è reciproca.” Si intromette Isaia.
Ludovico gli lancia un’occhiataccia e poi guarda me. “Manchi solo tu.”
Oddio!
“Sono cicciona.” Balbetto. Mamma mia che figura. Arrossisco come un pomodoro. Mi viene da piangere.
“Sì in effetti sei davvero enorme.” Osserva Isaia guardandomi.
“Isaia basta per favore. Non siamo qui per giudicare. “ Interviene seccato Ludovico. “Non ci hai detto come ti chiami”, continua rivolgendosi gentilmente a me.
“Lasabrina.”
Vedo la sua faccia perplessa e arrossisco di nuovo. “Sarebbe Sabrina, ma tutti mi chiamano Lasabrina. Sì perché così fa più grosso e visto che io sono grossa…beh comunque è Lasabrina.”

Nessuno commenta. E mi rendo conto di sembrare pazza come loro. Anzi. Probabilmente più ancora, pazza come Woody. 
Le terribili presentazioni sono terminate, finalmente Ludovico è pronto a svelarci il perchè di questo assurdo incontro.

martedì 21 gennaio 2014

Apocalisse

Avete presente quei film sulla fine del mondo? Quelli in cui arrivano gli alieni, o un’innondazione da racconto biblico? Quei film in cui l’eroe si fa trovare sempre preparato e pronto a tutto. Questa storia parla di quell’eroe per la prima volta impreparato.

Apocalisse - Giorno 1

Poliziano Salutate si trovava, come ogni giorno alle 12.37, sul trono del dopo pranzo, intento a sfogliare una rivista di dubbio gusto, alla ricerca dell’ispirazione per concepire gli scarti d’un pranzo. Era uno dei 37 giorni dell’epifania che il nostro eroe aveva potuto vivere nell’arco della sua esistenza.
-Un giorno come tutti gli altri!- diceva a se stesso. Si. Un giorno come tutti gli altri.
Se solo si fosse ricordato di queste  parole alcuni giorni dopo, quanto avrebbe voluto che quel giorno dell’epifania fosse stato come tutti gli altri. Ma le cose andarono diversamente.
Era quel particolare giorno dell’epifania, in quel particolare momento maleodorante, che bussarono freneticamente alla porta del bagno in cui si rintanava.
Il suo vicino di casa, Girolamo Pestabuchi, urlava a squarciagola di abbandonare la casa al più presto. Qualcosa di pericoloso era nell’aria. E non si trattava del pestilenziale odore che proveniva dal bagno bensì…
Cosa ci fosse di tanto pericoloso ve lo dirò a momenti, ma prima concentriamo la nostra attenzione sull’eroe di questa vicenda.
Rimase immobile, occhi spalancati e bocca socchiusa; non respirava (questo anche prima della notizia). Doveva sbrigarsi. Là fuori la fine del mondo e lui chiuso in un cesso a cagare? Non ci si poteva credere. Il problema in casi del genere è la pressione: sotto pressione Poliziano non riusciva ad arrivare al nocciolo della “questione bagno” e il mal di stomaco cresceva in lui. –Piantala d’urlare!- gridò al Pestabuchi, -non riesco a farla.- e più si sforzava più gli sembrava impossibile arrivare a liberarsi.
Si guardò attorno in cerca d’aiuto. La vide. La Pistola Beretta 92 che aveva acquistato per difesa personale; ne teneva una in ogni stanza, -che senso avrebbe potersi difendere solo in determinate circostanze?- spiegava a chi gli chiedeva il motivo di quell’armamentario.
Era lì, sul water, con una pistola in mano ed un vicino rompicoglioni che continuava ad impedirgli di liberarsi. Fuori c’era la fine del mondo. Che differenza avrebbe fatto un morto in più o in meno? Puntò la pistola alla porta ed aprì il fuoco. L’ultimo buco che il Pestabuchi avrebbe calpestato era quello della sua fossa al cimitero, sempre se qualcuno si fosse preso la briga di seppellirlo nel bel mezzo della fine del mondo!
Poliziano tornò al suo compitino portandolo a termine in maniera trionfante. Tre tirate alla corda dello sciacquone per mandar giù tutto, si reinfilò nei pantaloni, allacciò la cintura e fu pronto alla partenza. Saltò fuori dal bagno, scavalcò il cadavere del rompicoglioni e si diresse in tutta fretta all’uscita. Come nei migliori polizieschi mandò in frantumi la porta di casa con un calcio, puntò l’arma e vide…
Ora è il caso di fare un breve passo indietro nella nostra storia. Il Pestabuchi aveva urlato di abbandonare la casa, ma non aveva mai parlato di fine del mondo. Là fuori tutto era normale, forse l’unica novità era il carretto della befana che per tradizione passava a distribuire dolci. Che il Pestabuchi gli avesse detto di uscire per assistere alla parata? –Mondo cane! Rompicoglioni di un vicino, è mai possibile cagare in pace? Mi entri in casa e urli come un mentecatto per 3 rincoglionite vestite da befana? Ci credo che poi ti ammazzano!-.
Tornò immediatamente all’interno dell’abitazione. Doveva liberarsi del corpo, pulire la scena del crimine, fare in modo che la scomparsa di una persona risultasse normale. –In fondo- pensò –è il rimorso che ti fotte in casi del genere. Lui era un rompicoglioni, pertanto di rimorsi sicuramente non ne avrò, tutto andrà avanti nella più normale normalità. Devo solo sistemare tutto questo casino-.
Portò il cadavere nella cantina, aprì la cella frigorifera e mentre ce lo infilava sentì una voce al piano di sopra.

domenica 19 gennaio 2014

Il filmone della domenica pomeriggio

2001: odissea nello spazio
diretto da Stanley Kubrick





Il sesto membro dell'equipaggio del Discovery non ha dovuto essere messo in condizione di ibernazione perché in realtà è l'ultimo ritrovato in fatto di macchine pensanti. Il calcolatore acca a elle 9000, che può riprodurre, alcuni esperti preferiscono la parola "imitare", la maggior parte delle attività del cervello umano con una velocità e una sicurezza incalcolabilmente maggiori. Abbiamo parlato con in calcolatore acca a elle 9000 al quale ci si rivolge chiamandolo HAL.

> Buonasera HAL! Come vanno le cose?

> Buonasera signor Amer, tutto va estremamente bene.

> HAL tu hai un'enorme responsabilità in questa missione, in molti sensi forse è la maggiore responsabilità di ogni altro membro dell'equipaggio. Tu sei il cervello e il sistema nervoso centrale dell'astronave e le tue responsabilità comprendono la sorveglianza degli uomini ibernati. Questo ti causa mai una certa... apprensione?


> Possiamo dire questo, signor Amer: la serie 9000 è l'elaboratore più sicuro che sia mai stato creato. Nessun calcolatore 9000 ha mai commesso un errore o alterato un'informazione, noi siamo senza possibili eccezioni di sorta a prova di errore e incapaci di sbagliare.

> HAL, malgrado il tuo immenso talento, ti senti mai frustrato dal fatto di dover dipendere da altri per svolgere le tue funzioni?


> Nemmeno minimamente, a me piace lavorare con la gente. Ho rapporti diretti ed interessanti con il dottor Poole e con il dottor Bowman. Le mie responsabilità coprono tutte le operazioni dell'astronave, quindi sono perennemente occupato.
Utilizzo le mie capacità nel modo più completo, il che io credo è il massimo che qualsiasi entità cosciente possa mai sperare di fare.



BUON VIAGGIO!

Streaming ITA (pt1 - pt2)

Streaming ENG

File torrent


Per i "ma no l'ho già visto" guarda il filmone della scorsa settimana

venerdì 17 gennaio 2014

Il club degli emarginati (1)

Mi chiamo Sabrina, ma tutti mi conoscono come Lasabrina. Questo perché all’asilo, quando mia nonna veniva a prendermi entrava gridando “Dov’è la Sabrina?” suscitando l’ilarità delle maestre. A questo si aggiunge il fatto che a tre anni pesavo già 25 chili e senza dubbio dire Lasabrina rende meglio l’idea di una bambina-bue rispetto a Sabrina, bambina-fuscello. Da qui sono sempre stata Lasabrina, ormai se mi chiamano col mio vero nome non mi riconosco nemmeno.
Le altre bambine a scuola indossavano vestitini di cotone a fiori, calze ricamate e avevano i capelli raccolti in codini. Io portavo enormi salopette di jeans, scarponi e una moscia coda di cavallo in testa.
Le altre bambine il pomeriggio guardavano i cartoni animati di Sailor Moon e La sirenetta, io, grazie a tre fratelli maggiori, un padre e una madre poco presente ero cresciuta a forza di Chuck Norris, Bruce Willis e Bud Spencer. Il film più romantico che ho mai visto fino all’età di quindici anni è stato Rocky con Sylvester Stallone, un altro dei miei idoli di gioventù.
Non posso dire di aver avuto un’infanzia infelice. Ero contenta di giocare con i trattori, Walker Texas Ranger mi prendeva tantissimo e con i miei fratelli avevo un ottimo rapporto. Fu l’adolescenza il periodo traumatico, quando mi resi davvero conto di essere diversa dai miei fratelli e di provare un certo interesse verso romanzi rosa e vestiti più femminili. Ma insieme a questa mia nuova propensione alla femminilità cresceva anche la mia massa corporea. I miei fratelli si ingozzavano come maiali ed erano “belli forti e robusti”, come diceva mio papà, io invece, una ragazza, ero “cicciona, molle e cellulitica”, come diceva quella simpatica di mia mamma.
Così il mio lato femminile che ancora non aveva spiccato il volo si trovò ben presto a cozzare con il mio peso importante. Inutile dire che i ragazzi mi rifiutavano e le ragazze mi umiliavano. Senza contare che quando i miei fratelli si resero conto che stavo cambiando iniziarono ad escludermi.
Divenni così un’emarginata. Troppo grossa per piacere e troppo mascolina per suscitare la simpatia delle mie coetanee.
Adesso ho trent’anni, sono alta un metro e settanta e peso novanta chili, lavoro come cassiera in un supermercato e vivo ancora con i miei genitori e due dei miei fratelli. Non ho un fidanzato e anche se sono adulta mi vergogno ancora a leggere i libri d’amore davanti alla mia famiglia. Non ho mai visto un vero film romantico, non porto le gonne e nemmeno i capelli sciolti. Non è cambiato molto dalla mia infanzia. Non sono triste, ma sono sola. Questo mi rende triste. Vorrei avere degli amici, un ragazzo e una casa tutta mia.

È lunedì. Oggi ho il turno di mattina. Vado al lavoro, indosso l'uniforme creata apposta per me, non ne esisteva una abbastanza grande e passo le seguenti tre ore a far scorrere prodotti sul nastro.
Torno a casa per l’ora di pranzo. Mia mamma ha fatto le cotolette con le patate. Mangio cinque cotolette sentendomi il suo sguardo addosso. “Forse dovresti andare in palestra Lasabrina.” Mi dice.
Mio fratello rutta di fianco a me. Ha due anni in più di me, è alto come me e pesa venti chili in più di me. “E lui non dovrebbe andarci?”
Mamma si scandalizza. “Lui fa un lavoro pesante. Ha bisogno di mantenersi.” Il lavoro pesante sarebbe fare il commesso in un negozio di lampadari dove ogni volta che un cliente acquista gli capita di sollevarne uno, il che accade più o meno una volta ogni tre mesi.  
Mio padre mi sorride, “le donne in carne sono le più belle.”
Mamma sbuffa, si alza in piedi e inizia a sistemare i piatti. Vi basti sapere che io pesavo come mia mamma a otto anni.
Trascorro il pomeriggio chiusa in camera. Navigo su internet, sono tentata per la millesima volta di iscrivermi su un sito di incontri, ma come sempre rinuncio. Fino a quando, quasi per caso, leggo una notizia molto interessante.
Ti senti emarginato? Ti senti invisibile? Credi che la società ti rifiuti perché sei diverso dagli altri? Vorresti sfuggire da questa situazione ma non sai come? Noi siamo la soluzione! Giovedì 30 ottobre, ore 18, viale Salici piangenti 3, appartamento 7. Ti aspettiamo, per noi sei speciale.
Sento il cuore battere forte. Sarà una fregatura? È senz’altro una fregatura. A chi può interessare un gruppo di sfigati, o come li chiamano loro, di EMARGINATI. Il tono dell’annuncio è pessimo, persino Mastrota nelle sue televendite di materassi è più convincente. Ma in fondo, cosa ho da perdere? Basta armarsi di uno spray al peperoncino e avere la batteria del telefono carica, anche se non penso di essere esattamente la persona più stuprabile di questo mondo. Ma la madre dei maniaci è sempre incinta. O era quella degli stupidi? Fa lo stesso. Giovedì 30 ottobre sarò lì e se anche dovesse essere una scemata pazienza, almeno avrò trascorso un pomeriggio fuori casa.

Il numero 3 di viale Salici piangenti è un comune condominio, come ce ne sono migliaia in ogni città. La porta d’ingresso è aperta, l’appartamento 7 è al quarto piano. L’ascensore è rotto, ovviamente. Qualcosa mi dice che arriverò fradicia di sudore, uno spettacolo.
Quando busso alla porta sono in ritardo di dieci minuti. I minuti che mi ci sono voluti per fare le scale. Spero che non sia una scemata altrimenti mi faccio pagare da loro la lavanderia per i vestiti.
Un volto fa capolino dall’ingresso. È il faccino tondo di una bambina dall'aria simpatica, le trecce bionde e un vestitino rosa. La classica bambina perfettina che odiavo quando avevo la sua età. Sono in dubbio se tornare indietro, entrare e strozzarla perché è così bella o…
“Marti, spostati.” Una voce d’uomo e un uomo fa la sua comparsa. È giovane, deve avere poco più della mia età, indossa una maglietta gialla a righe azzurre e dei pantaloni della tuta rossi. Credevo di essere io quella che si veste male, ma a quanto pare devo ricredermi.
“Sei qui per l’annuncio?” mi chiede spingendo dietro di se la bambina.
Annuisco e lui si sposta facendomi entrare in un salotto minuscolo ingombrato dalla presenza di cinque persone sedute a cerchio. Sembra di essere in un centro di riabilitazione per alcolizzati.
L’uomo mi prende per un braccio e mi scorta alla mia sedia. Mi guardo intorno. Pur non conoscendo nessuno e pur non essendoci nessun motivo evidente a rendere gli altri degli emarginati qualcosa di inspiegabile ci rende il peggior gruppo di disadattati della storia. Staremo a vedere.


domenica 12 gennaio 2014

Il filmone della domenica pomeriggio

L'esercito delle dodici scimmie
diretto da Terry Gilliam




Lo sai che cosa è pazzo? Pazzo è quello che impone la maggioranza.
Già...
Prendi i germi per esempio. I germi nel diciottesimo secolo non esistevano mica. Nada. Niente. Chi l'avrebbe mai partorita un'idea del genere. Certo non uno sano di mente.
Poi arriva questo dottore ...Semmelweis! Semmelweis un bel giorno arriva, e cerca di convincere la gente, gli altri medici soprattutto, che esistono questi piccoli, invisibili cosi chiamati germi; che ti entrano nel corpo e ti fanno ammalare. Li convinci. Convinci i dottori che è giusto lavarsi le mani. Che cos'è questo? Un pazzo? Questi cosi invisibili come li chiami tu? Germi? Come?
Facciamo un salto nel ventesimo secolo. Una settimana fa prima che mi ficcassero in questo buco dell'inferno ho ordinato un hamburger in un fast food merdoso. Un tizio lì me lo fa cadere. Me lo raccoglie, lo spolvera e come se niente fosse me lo ridà tutto tranquillo. 
«E i germi?» dico io. E lui risponde: «i germi non esistono sono soltanto un'invenzione creata apposta per vendere disinfettanti e saponi». Come lo vedi? Lui è un pazzo! Giusto? Chiaro.
Non c'è giusto, non c'è sbagliato: conta solo l'opinione della gente.



BUONA VISIONE!

Streaming ITA videopremium


File torrent



Per i "ma no l'ho già visto" guarda il filmone della scorsa settimana

domenica 5 gennaio 2014

Il filmone della domenica pomeriggio - prima domenica, primo filmone

Following

Prima domenica dell'anno - primo film sfornato da Christopher Nolan




> Ah ecco la scatola...

> Che scatola?

> Tutti hanno una scatola, gli uomini usano quella delle scarpe.

> C'è roba di valore?

> No, è più interessante, più personale. Candeline del compleanno, lettere, foto ricordo, segna posti, conchiglie... guarda. Un cartoncino di invito, foto, biglietti da visita, indirizzi; una sorta di collezione inconscia, una mostra.

> In che senso una mostra?

> Beh, è evidente: ogni oggetto è un pezzo di vita intima della persona. È un privilegio rovistare in una scatola.

> Ehi ehi no, ma cosa fai? Perché l'hai rovesciata?

> È come un diario: la nascondono, ma vogliono che sia trovata. Io l'ho vista.
Nascondere, mostrare; facce della stessa moneta. Ora sanno che qualcuno l'ha vista, il gioco sta tutto qui. Interrompere la vita di qualcuno, mettergli sotto gli occhi quello che dava per scontato e quando dovrà elencare per l'assicurazione le cose sottratte da quello scaffale si chiederà per la prima volta dopo tanto tempo "come mai le ho conservate? A che scopo?"
Quando sottrai gli mostri quello che aveva.



BUONA VISIONE!

Streaming ITA youtube

Streaming ENG


Per i "ma no l'ho già visto" guarda il filmone della scorsa settimana

venerdì 3 gennaio 2014

I fantasmi della notte (pt.2)

Seconda parte
Qui la prima


Sto perdendo la pazienza. Perché quell’uomo si ostina a dire di non essere nessuno? Possibile che non accetti nemmeno un piccolo aiuto? Il mio sonno inizia a essere turbato, sono preso da paranoie. Non mi piace. 
(ma è un uomo?)

Mi avvicino alla finestra e vedo che lui è lì. Non sta rovistando, né guardando qua e là negli angoli bui del vicolo. È in piedi, immobile. Oserei dire quasi trasognato. Decido di scendere e esigo una risposta.

«Chi sei?»

L’uomo mi guarda. Stavolta negli occhi.


«Io non sono nessuno» risponde, ma la voce ha finalmente un tono. Il viso ha lineamenti anonimi ed è indecifrabile «Io non sono nessuno perché sono tutti.  Sono tutti i barboni che rovistano nella spazzatura e fanno l’elemosina agli angoli delle strade. Sono tutti gli assetati che chiedono acqua e ricevono aceto. Sono tutti gli orfani che vengono picchiati e dimenticati. Sono tutte le prostitute usate e abusate e gettate via. Sono tutti i lavoratori morti per un incidente in fabbrica. Sono tutti quelli senza un posto dove andare e che darebbero tutto per chiamare un posto “casa”. Sono tutti quelli che chiedono un pezzo di pane. Sono quelli che hanno delle idee e che per questo vengono torturati.
Sono ogni diverso che viene assassinato».

Io rimango in silenzio.

«Io sono tutti e non sono nessuno». Ripete. E scompare di nuovo. Mentre realizzo ciò che mi ha detto e mi chiedo se fosse stata solo un’allucinazione, la neve cade abbondante e il rumore del vento tra le case diventa simile all’ululato di un lupo affamato. 

Frastornato, rientro a casa e mi metto a letto.


La città mi diventa estranea.

Ricordo il giorno dell’incontro con quell' uomo per due motivi: il primo è che fu l’ultima volta che lo vidi.

Il secondo è che dopo esso le mie notti sono scandite da incubi e i miei giorni da fantasmi.

giovedì 2 gennaio 2014

I fantasmi della notte (pt.1)

Racconto in due puntate


È notte fonda. L’uomo è arrivato, come ogni notte da settimane ormai. Lui non sa che io lo vedo dalla mia finestra. Il vicolo è buio, i lampioni non sono altro che lucciole appese a mezz’aria. Lo vedo cercare negli angoli più scuri, raccogliere oggetti e infilarli nel suo borsone. È un uomo grande ma dall’aspetto sfuggevole, con un lungo pastrano sciupato dal tempo, che probabilmente ha visto tante panchine alle stazioni dei treni. Riesco a delineare appena il viso scavato dagli anni, non so stabilire con precisione l’età (forse perché non ne ha una?). Calza dei pesanti scarponi sporchi.

È settimane che lo osservo. Mi faccio forza. Mi rivesto e mi infilo la giacca. Scendo.

Non c’è più, se n’è già andato.


È tornato. Lo aspettavo: ora non voglio perdere questa possibilità. Scendo di nuovo.
È voltato, sta rovistando nella spazzatura.
«Chi sei?» gli chiedo.

Lui si volta, mi guarda, ma non guarda me, guarda qualcos’altro, per interminabili secondi.

«Io non sono nessuno» risponde.
«Chi sei?» gli chiedo di nuovo meccanicamente. Il tempo si è fermato.
«Io non sono nessuno» risponde di nuovo.

L’uomo si volta, raccoglie qualcosa dal bidone della spazzatura. Mi spedisce un ultimo sguardo, rimarcando la sua risposta. Non era nessuno 
(o non voleva essere nessuno?)
Come un soffio, sparisce nel buio del vicolo.

Poco dopo, ritorno a casa, mi metto a letto e vengo preso da un sonno pesante e senza sogni.


Lui torna ogni sera. Ma per qualche motivo ho timore, non voglio scendere. Vedo che si comporta come se nulla fosse successo. Continua a rovistare di qua e di là, disinteressato del nostro incontro e dell’inverno che sopraggiunge e nasconde gli ultimi strascichi d’autunno. Accendo il camino e torno alla finestra per osservarlo, ma l’uomo è già sparito, vorrei proprio sapere dove vive. Sovrappensiero, mi accomodo in poltrona e leggo un libro, Le notti bianche di Dostoevsky.


Sto iniziando a inquietarmi. Devo parlare con quell’uomo, quantomeno per chiedergli se ha bisogno di aiuto, di vestiti o cibo. Mi vesto pesante e scendo. Il sole è tramontato da un po’ e il vicolo ha un aspetto tetro e buio. La neve bianca aveva velato i tetti e le strade, qualche luce era accesa, e un’atmosfera spettrale è scesa su di noi.
«Chi sei?» gli chiedo.
Lui si volta, mi guarda di nuovo, senza però vedermi, come se guardasse qualcos’altro.
Il tempo si è fermato ancora. Sembra che perfino la neve, che poco prima scendeva leggera e con eleganza, si sia fermata ad attendere la sua risposta.

«Io non sono nessuno» risponde.

Io rimango immobile, sono speranzoso che lui mi parli, ed effettivamente è quello che voglio. Ma in un attimo se n’è già andato. E mi ritrovo solo in mezzo alla strada, mentre la neve scende copiosa, e le poche luci accese lanciano ombre inquietanti

 (e mi chiedo se anche lui non fosse solo una folata di neve portata dal vento).