mercoledì 26 marzo 2014

#BibliotecaIdeale: Daniel Kehlmann, È tutta una finzione

Ti ricordi ancora di quando andavi a scuola? Della geometria analitica? Niente paura, non ho intenzione di annoiarti più del necessario. Ma devo descriverti una certa curva e le sue strane esperienze. Un semplice esempio: la funzione y=4/x. Se x è uguale a quattro, fa… - giusto: uno. Se è uguale a tre fa quattro terzi o anche 1,3 periodico, un numero ottuso, senza humor né eleganza. Se x è uguale a due… - esatto, il risultato è due. Uno: il risultato quattro. E zero?
Appunto. Vorrei sapere se esiste una sola persona cui non vengono forti vertigini, cui non viene un brivido freddo nelle ossa e che di colpo non sente la gelida vastità del cosmo intorno a sé, se solo prova ad immaginarsi seriamente cosa succede al quattro quando lo dividiamo per zero. Il matematico la fa facile e scrive con una parola sottile “indefinito” accanto all'equazione, ammissione che la sua scienza esce fuori dai binari quando prova ad avvicinarsi al puro terrore e alla semplice eternità. E la geometria? Traccia il percorso della curva che da entrambi i lati dell’intersezione degli assi sale lentamente per poi di colpo, quanto più si avvicina all'asse, inclinarsi sempre di più e infine, sugli ultimi millimetri, schizza in altro, oltre lo spigolo del foglio, verso il nulla. Si chiama punto all'infinito e la figura che ne viene fuori somiglia alla sagoma di un vaso di fiori panciuto, il cui collo, invece di terminare come sarebbe d’uopo dopo un paio di centimetri, si perde in un cielo nebuloso. Mi ricordo ancora che dovetti reggermi ai bordi del mio banco traballante quando seguii per la prima volta il percorso di questa povera e semplice curva: nasce tra gli infimi numeri quotidiani, cresce davanti ai nostri occhi, per un attimo assume il valore di “indefinito” e si inclina di nuovo, riscende là da dove era venuta. Ma era lì, per l’amor dei Dio, era davvero lì! Sotto i nostri occhi una linea, il prodotto dei nostri freddi calcoli, ha superato i confini del mondo e ora ritorna, come se niente fosse successo.
O i numeri irrazionali. Con cosa moltiplichiamo una semplice linea, quando vogliamo convincerla a fare un giro intorno a se stessa e creare un cerchio? Si parla con disinvoltura del Pi greco e si traccia una lettera dell’alfabeto ellenico che di profilo somiglia a un ovolo malefico, ma cos'è veramente? Sì, cos'è veramente…? Un tre con infinite cifre dopo la virgola. Per l’esattezza infinite e diverse. Ogni calcolo della circonferenza, chiunque lo esegua, in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, è impreciso, perché si basa su un numero inafferrabile, sempre, in qualsiasi circostanza. Si parla di “valori approssimativi”, ma significa semplicemente che si prendono altri numeri sull'orlo dell’intoccabilità dall'aspetto simile. Tuttavia, tra di essi passa una tetra infinità zeppa di cifre che non può essere superata. Il Pi greco, creato dallo spirito, si sottrae allo spirito; non raggiunge più l’infinito. Voi professori, avvolti nella polvere del gesso, rispondetemi! Non è sotto gli occhi di tutti come qui, ancor prima di tutte le cose, di tutta la materia, penetri nel mondo qualcosa di inquietante? Qualcosa di simile a un riflesso precoce, una premonizione del male? E quella piccola curva che attraversa l’infinito…non vive una forma distorta e geometrica di resurrezione?

In ogni caso, quello che notai la prima cauta volta in cui mi occupai del mondo dei numeri fu che nel cuore delle cifre, delle equazioni e delle frazioni, sfuggente e duro come la perla dentro un’ostrica sonnecchiante, c’è qualcosa di estraneo. Qualcosa che, quando lo osservi, può inquietarti, come se ti trovassi tra due specchi o su un punto panoramico e guardassi in profondità. Credimi, per avere degli incubi basta molto meno della scoperta che nel cuore della matematica si annida il germe della follia.



Tullio Pericoli, Colpo d'occhio, 1984.

Nessun commento:

Posta un commento